In 20 mila alla festa dei Serpari
SCRIVEVA MANGANELLI
Il paese di CUCULLO La statua di San Domenico Perché la festa di San Domenico di Cocullo, il primo giovedì di maggio, richiama ogni anno l'interesse di tanta gente, pellegrini, devoti, giovani, turisti e curiosi da tutta Italia, anche dall'estero? Che cosa si può comprendere attraverso l'esperienza annuale di questa festa religiosa, al di là dell'inusitato e del «barbarico» rito delle serpi di cui si è impossessata l'oleografia turistica corrente, secondo la famosa rappresentazione michettiana e dannunziana? E ancora possibile, osservando queste manifestazioni di religiosità popolare e contadina, scoprire quegli esempi di storie del silenzio, di cronache di umiltà e di povertà, che sono proprie delle culture subalterne? Questi interrogativi si ripropongono ogni anno, tornando a Cocullo per assistere alla processione di San Domenico e alla esibizione delle serpi, di fronte alla ricchezza di elementi magicoreligiosi e alla grande commozione collettiva che, al di là della folla dei curiosi e delle macchine fotografiche, ha il potere di coinvolgere nell'arcaico rito che unisce alle antiche miserie, di cui era intrisa la vita contadina, le nuove sofferenze degli uomini, in un comune pellegrinaggio di speranza contro i malesseri della vita moderna. La festa di Cocullo è costruita su alcune sequenze fondamentali. Il 19 marzo inizia la cattura delle serpi che vengono conservate, in cesti e cassette, fino al giorno della festa, quando arrivano in pullman i pellegrini dall'Abruzzo, dalla Ciociaria, dal Molise, dalla Campania. Una volta i pellegrinaggi si
La posa delle serpi
Una scena della festa
protettore dalle tempeste. Quando il culto fu introdotto in Abruzzo, la figura di S. Domenica si caricò di quelle caratteristiche che appartenevano alla tradizione dei Marsi: la protezione dalle morsicature dei cani rabbiosi e dei serpenti e dal male di denti, poiché è noto che la parola «marso», in epoca tardo romana, era assimilata al mestiere di serparo, anche quando la popolazione, soggiogata dai romani e fortemente deculturata, vagabondava per le campagne laziali e per la stessa Roma. Bisogna, inoltre, tenere presente che il pericolo dei serpenti velenosi, almeno fino al secolo scorso, era veramente notevole, soprattutto per i pastori, sia dell'area peligna che della zona del Fucino. Lo storico Febonio racconta che gli abitanti di Penna furono costretti, nell'XVII secolo, ad abbandonare il villaggio, nel Fucino, perché invaso da numerosissime bisce che emanavano un puzzo insopportabile, costruendo più a valle un altro paese, l'attuale Luco: racconta che i Marsi «conoscendo gli antidoti, delle erbe e degli altri minerali, soffocavano le serpi, non senza tuttavia l'aiuto dell'arte magica, di cui erano particolarmente esperti» (trad. Butticci). Insomma i serpenti e quanti erano capaci di neutralizzarne le morsicature, erano fenomeno comune nella Marsica e perciò si spiega, con l'arrivo del santo taumaturgo da Foligno, il nuovo patronato religioso, che ha la sua emergenza a Cocullo. San Domenico, che è venerato pure a Pretoro, Palombaro, Villalago, Pizzoferrato ed altri paesi dell'Abruzzo, ha lasciato a Cocullo due sue reliquie: un molare e un ferro della sua mula, con il quale fino ad un passato recente i pecorai cocullesi «toccavano» le loro pecore per preservarle dalle morsicature delle serpi. Da Fornelli, nel Molise, arriva il 21 agosto di ogni anno il pellegrinaggio a piedi dei devoti i quali, dopo aver sostato all'eremo di San Domenico, presso la diga sul Sagittario, si recano a Villalago, alla chiesa di San Domenico: alla periferia del paese i confratelli di San Domenico accolgono i pellegrini, i quali portano al collo una corona con l'immagine del santo e sono preceduti da un giovane che suona ininterrottamente una campanella. I pellegrini sostano un giorno a Villalago e ripartono in
La statua di San Domenico
pullman per Fornelli dove festeggiano il santo, che è comprotettore del paese con San Pietro, il 24 e 25 agosto. Secondo uno storico della fine del secolo scorso, Giuseppe Celidonio, anche a Villalago il santo donò, apprestandosi a partire per fondare altri cenobi, «cavandoselo, un altro dente molare, raccomandando di ben custodirlo per guarire dalla rabbia, dal veleno di qualsiasi animale e dal dolore di denti», mentre, passando per la vicina Anversa, benedisse una campana antitempestaria che stava per essere fusa. Riportiamo alcuni stralci sui miracoli, ancora comuni nella tradizione orale, che accreditano il culto del santo a Cocullo: San Domenico per la sua vita e le sue prediche era perseguitato a morte da certi cacciatori d'un paesello alpestre (non lo nominano gli scrittori, ma era Castrovalva, i cui abitanti anch'oggi si bollano col nomignolo di perseguita santi). Mentre passava lì sotto con la mula del Monastero scendono giù per ammazzarlo! Ma Dio aiuta i santi, ed ecco un orso minaccioso e fiero li rintoppa nella breve scesa. A nulla valse. I forsennati se ne sbarazzano con l'animo più infellonito e... avanti! Il Santo, che ha alle peste gli insecutori, s'imbatte in un contadino che seminava le fave. - Buon uomo, gli dice, se gente armata che giungerà tra poco ti domanderà di me, e tu rispondi che passai qui quando tu seminavi le fave. Intanto si nasconde nella sua capanna. Poco dopo arrivano, domandano, vien loro risposto così... e le fave avevan già messo foglie e fiori. Ci volle tal miracolo per convertirli! Per la via che mena a Cocullo, dimandò in carità ad una donna che portava una taschetta di grano al molino, di dargliene qualche giomella per rifocillare la sua mula. L'ebbe, e la taschetta moltiplicossi in due sacca colme. A Cocullo poi l'attendeva uno spettacolo terribile. Un lupo portava tra le zanne un pargoletto, unico figlio di una madre che disperata gli correva dietro. Il Santo comanda alla lupa, in nome di Dio, ed essa intatto depone in terra il bambino. A tal vista, a ragione il popolo affollato rimase fuori di sé, e lo pregò di un ricordo. Il Santo pone la mano alla bocca, si strappa un dente molare, ed a loro il porge insieme al ferro della sua mula. Ma cosa era questo ferro? In Cocullo, o allora od altra volta, arriva con la sua solita mula, che si chiama Giulia. Prega un fabbro a rinnovarle un ferro sgangherato e rotto. Finito il lavoro si aspetta il giusto pagamento: ma il Santo non ha né oro né argento. Il fabbro rumoreggia, la gente corre. Allora dice alla sua mula: Giulia, rendi il ferro. Ed essa lo rigetta. Veniamo ora ai serpi per cui San Domenico è famoso in Villalago e Cocullo. Nella sua festa lì, ai 22 agosto, e qui a maggio, quei terrazzani scovano quanto più possono serpi, ne inghirlandano la statua del Santo e la menano in processione. Accade che, mentre i serpi cercano di avviticchiarvisi, sguiscian giù, e li raccolgono tranquillamente, li portano in mano, se ne cingono il collo, anzi taluni arrivano a chiuderseli in bocca! Niente di straordinario, perché sono serpenti innocui. Tale costumanza accese il Michetti a dipingere un quadro famoso, San Domenica, ma destò scandalo in un ministro anglicano, che, vistala in Cocullo, ne fece gran rumore, tornato in Inghilterra, scrivendone sui giornali, denigrando il culto cattolico che permetteva la processione dei serpi!
Un pio Vescovo ne scrisse all'autorità ecclesiastica, un quattro anni sono, per saperne il netto, e rintuzzare l'atroce offesa. Gli fu risposto che la processione non era dei serpi ma di San Domenico, alla cui statua da tempo immemorabile si avviticchiano serpi innocui, a ricordo d'un gran miracolo, ampiamente narrato da Fr. Giovanni che vi si trovò presente. Ed è questo: «Mentre, egli dice, avvenivano queste cose (cioè alcuni miracoli in Collepardo), il preposito di Monte Cassino, sentita la gran santità di P. Domenico, gli spedì due monaci con molti pesci. Arrivati presso il monastero di S. Bartolomeo... l'antico nimico dell'uman genere mise loro in cuore di rubare quei pesci; e quattro dei più grossi nascosero tra certe caverne di pietra. Pervenuti al monastero, il Santo andò loro incontro avanti la porta. E benignamente accogliendoli, li introdusse in chiesa dicendo: "Prima cercate il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto vi sarà messo innanzi. Ricordatevi il profetico detto: A chi cerca il Signore non mancherà ogni
tempestario, subisce questa sovrapposizione delle serpi assumendo un'altra funzione: la festa, difatti, ignora del tutto la liturgia e il prete è assente dalle «compagnie» di devoti, al contrario di quanto avviene per tanti pellegrinaggi in Abruzzo e Molise, proprio nei mesi di aprile e maggio. L'altro studioso, che con Alfonso di Nola ha dedicato al fenomeno libri e saggi notevoli, è Giuseppe Profeta il quale è giunto, a conclusione delle sue ricerche, a ritenere la protezione di San Domenico dai morsi delle serpi posteriore a quella dai lupi e dai cani rabidi rilevando, quindi, la esistenza di una dialettica relazione del «dente per dente» successiva all'originario nucleo patronale contro le febbri e le tempeste che il santo umbro esercitava nel fulignate e a Sora. La festa, per l'incalzare dell'industria turistica e consumistica, subisce tentativi di spoliazione della sua autenticità: alla festa del 1992, venuto da Roma, c'era persino un giovane che esibiva un pitone ed era stato attivato un intenso commercio per farsi fotografare con esso. Ma, se si considera che Cocullo, ridotta a poche centinaia di persone durante gli altri giorni dell'anno, viene letteralmente assalita in questo giorno da carovane di pullman di devoti e da migliaia di turisti che pure sembrano scompaginare il rito religioso, si potrà trovare una risposta a questo problema. I momenti nodali del rito - la raccolta della terra dietro l'altare, il tiro della campanella con i denti, il bacio della reliquia, l'uscita della statua con le serpi intorno - fanno notare un senso di gioia e di riappropriazione della festa da parte della gente del posto e dei fedeli, in momenti che non risultano turbati nella loro intensità devozionale dalle cineprese, dalle macchine fotografiche, da curiosi accorsi per osservare ciò che potrebbe sembrare diverso e barbarico. Molta gente che viene a Cocullo è come spinta dal bisogno di queste ritualità, in cui il terrore della serpe è l'angoscia psicosociale di nuove paure: il disastro ecologico, la mancanza di lavoro, la corruzione politica e la violenza, i rischi quotidiani e l'insicurezza che l'uomo moderno paga con la deculturazione a massificazione. Ecco perché il fondo umano, tipicamente abruzzese, della gioia
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