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In 20 mila alla festa dei Serpari  

   

SCRIVEVA MANGANELLI
«Il primo giovedì di maggio» "Si arriva a Cocullo il primo giovedì di Maggio - scriveva nel 1987 Giorgio Manganelli in un servizio per "Il Messaggero" - E' il giorno dei serpari, la processione di San Domenico con un colare di serpenti. Fa freddo, un freddo sgarbato, acre, a tratti nevischia. Un freddo abruzzese, in una terra che pare specializzata nella produzione del freddo...". Il "viaggio" era dedicato proprio al "rito" antichissimo, che si vuole tragga origine dalla Dea Angizia, dal latino angius, serpente. Già, la divinità preromana che per forza doveva "albergare" in un posto come questo: habitat ideale per serpenti d'ogni genere, dai docili colubri alle temibili vipere, ai micidiali aspidi. E chi meglio di una maga, maestra nell'segnamento dell'uso dei veleni e degli antidoti, i controveleni! doveva diventare divinità? Una dea che spandeva la sua influenza fino alle sponde dell'antico Lago del Fucino per dilagare nella sassosa Valle del Sagittario. L'avvento del cristianesimo dette a San Domenico, l'eremita che albergava in una grotta nei pressi della sorgente ai piedi dell'odierna Villalago. E San Domenico ha svolto bene il "compito" assegnato, tanto che ancor oggi c'è un detto che, per sottolineare la paura di una persona per un qualsiasi, possibile accadimento, recita: "hai chiamato San Domenico prima di vedere la serpe!".I Serpari, la maiuscola spetta loro di diritto, per secoli hanno costituito una casta, gente diversa, coraggiosa, forte, ritenuta "immune" al veleno dei serpenti. Niente di tutto ciò. I Serpari erano e restano i Grandi Sacerdoti di questo rito. Rispettosi dei serpenti, che sanno come trattare e che, alla fine della funzione, liberano sulla montagna in attesa della cattura dell'anno che verrà. Un augurio per se stessi e per i rettili. Sono ancora tantissimi coloro che, affetti da mal di denti o di schiena fanno la fila per tirare, stretta tra i denti, la cordicella della campanella di San Domenico, oppure per raschiare un poco di calcina dal muro della chiesa o dalle pareti della grotta, per portarsi un balsamo miracoloso per dolori ai denti o alla schiena. Farà effetto? Chissà. ...

 

     

   Il paese di CUCULLO                                 La statua di San Domenico

Perché la festa di San Domenico di Cocullo, il primo giovedì di maggio, richiama ogni anno l'interesse di tanta gente, pellegrini, devoti, giovani, turisti e curiosi da tutta Italia, anche dall'estero? Che cosa si può comprendere attraverso l'esperienza annuale di questa festa religiosa, al di là dell'inusitato e del «barbarico» rito delle serpi di cui si è impossessata l'oleografia turistica corrente, secondo la famosa rappresentazione michettiana e dannunziana? E ancora possibile, osservando queste manifestazioni di religiosità popolare e contadina, scoprire quegli esempi di storie del silenzio, di cronache di umiltà e di povertà, che sono proprie delle culture subalterne? Questi interrogativi si ripropongono ogni anno, tornando a Cocullo per assistere alla processione di San Domenico e alla esibizione delle serpi, di fronte alla ricchezza di elementi magicoreligiosi e alla grande commozione collettiva che, al di là della folla dei curiosi e delle macchine fotografiche, ha il potere di coinvolgere nell'arcaico rito che unisce alle antiche miserie, di cui era intrisa la vita contadina, le nuove sofferenze degli uomini, in un comune pellegrinaggio di speranza contro i malesseri della vita moderna. La festa di Cocullo è costruita su alcune sequenze fondamentali. Il 19 marzo inizia la cattura delle serpi che vengono conservate, in cesti e cassette, fino al giorno della festa, quando arrivano in pullman i pellegrini dall'Abruzzo, dalla Ciociaria, dal Molise, dalla Campania. Una volta i pellegrinaggi si

 

La posa delle serpi


compivano a piedi e di essi è rimasto qualche elemento: ad esempio le compagnie di devoti, ormai «charterizzate», lasciano il pullman alla periferia del paese e percorrono «l'area sacra» a piedi, cantando e rispettando precisi ordini processionali. La compagnia di Atina, per esempio, preceduta dagli zampognari, esegue sia i canti di entrata che quelli di licenza, uscendo dalla chiesa senza dare le spalle all'altare. Il rito è tornato a svolgersi nel santuario di San Domenico, chiuso per alcuni anni perché terremotato, dopo un trasferimento fino al 1994 nella chiesa parrocchiale, secondo le tradizionali sequenze: i pellegrini raccolgono, in una grotta, della terra benedetta che, al ritorno in paese, spargono intorno alle loro case per tenere lontani i serpenti; tirano, con i denti o con la mano, la fune della campanella per garantirsi dal mal di denti; baciano il reliquiario contenente il molare del santo; partecipano, infine, alla processione della statua che, all'uscita della chiesa, viene ricoperta dalle serpi che si intrecciano e si avvolgono intorno alla testa, ma senza toccare il volto, perché è credenza che sarebbe di cattivo auspicio: nel 1986, difatti, qualche serpe ricoprì il volto di San Domenico e, come è noto, la festa coincideva... con i giorni dell'arrivo della nube radioattiva di Chernobyl in Italia! Quanto, poi, al legame di San Domenico con la tradizione degli antichi Marsi incantatori dei serpenti, scartata l'errata relazione della dea marsicana Angizia con anguis = serpente, l'ipotesi più valida è che il monaco benedettino, nato a Colfornaro presso Foligno, venne a piedi attraverso il Lazio e l'Abruzzo e si fermò in vari luoghi, facendo miracoli e fondando chiese, agli inizi dell'XI secolo, guarendo indemoniati, proteggendo contro le febbri e le tempeste. Proprio a Sora, dove il suo corpo fu seppellito, il santo è ancora venerato come

 

 

Una scena della festa

 

protettore dalle tempeste. Quando il culto fu introdotto in Abruzzo, la figura di S. Domenica si caricò di quelle caratteristiche che appartenevano alla tradizione dei Marsi: la protezione dalle morsicature dei cani rabbiosi e dei serpenti e dal male di denti, poiché è noto che la parola «marso», in epoca tardo romana, era assimilata al mestiere di serparo, anche quando la popolazione, soggiogata dai romani e fortemente deculturata, vagabondava per le campagne laziali e per la stessa Roma. Bisogna, inoltre, tenere presente che il pericolo dei serpenti velenosi, almeno fino al secolo scorso, era veramente notevole, soprattutto per i pastori, sia dell'area peligna che della zona del Fucino. Lo storico Febonio racconta che gli abitanti di Penna furono costretti, nell'XVII secolo, ad abbandonare il villaggio, nel Fucino, perché invaso da numerosissime bisce che emanavano un puzzo insopportabile, costruendo più a valle un altro paese, l'attuale Luco: racconta che i Marsi «conoscendo gli antidoti, delle erbe e degli altri minerali, soffocavano le serpi, non senza tuttavia l'aiuto dell'arte magica, di cui erano particolarmente esperti» (trad. Butticci). Insomma i serpenti e quanti erano capaci di neutralizzarne le morsicature, erano fenomeno comune nella Marsica e perciò si spiega, con l'arrivo del santo taumaturgo da Foligno, il nuovo patronato religioso, che ha la sua emergenza a Cocullo. San Domenico, che è venerato pure a Pretoro, Palombaro, Villalago, Pizzoferrato ed altri paesi dell'Abruzzo, ha lasciato a Cocullo due sue reliquie: un molare e un ferro della sua mula, con il quale fino ad un passato recente i pecorai cocullesi «toccavano» le loro pecore per preservarle dalle morsicature delle serpi. Da Fornelli, nel Molise, arriva il 21 agosto di ogni anno il pellegrinaggio a piedi dei devoti i quali, dopo aver sostato all'eremo di San Domenico, presso la diga sul Sagittario, si recano a Villalago, alla chiesa di San Domenico: alla periferia del paese i confratelli di San Domenico accolgono i pellegrini, i quali portano al collo una corona con l'immagine del santo e sono preceduti da un giovane che suona ininterrotta­mente una campanella. I pellegrini sostano un giorno a Villalago e ripartono in

 

La statua di San Domenico

 

 

pullman per Fornelli dove festeggiano il santo, che è comprotettore del paese con San Pietro, il 24 e 25 agosto. Secondo uno storico della fine del secolo scorso, Giuseppe Celidonio, anche a Villalago il santo donò, apprestandosi a partire per fondare altri cenobi, «cavandoselo, un altro dente molare, raccomandando di ben custodirlo per guarire dalla rabbia, dal veleno di qualsiasi animale e dal dolore di denti», mentre, passando per la vicina Anversa, benedisse una campana antitempestaria che stava per essere fusa. Riportiamo alcuni stralci sui miracoli, ancora comuni nella tradizione orale, che accreditano il culto del santo a Cocullo: San Domenico per la sua vita e le sue prediche era perseguitato a morte da certi cacciatori d'un paesello alpestre (non lo nominano gli scrittori, ma era Castrovalva, i cui abitanti anch'oggi si bollano col nomignolo di perseguita santi). Mentre passava lì sotto con la mula del Monastero scendono giù per ammazzarlo! Ma Dio aiuta i santi, ed ecco un orso minaccioso e fiero li rintoppa nella breve scesa. A nulla valse. I forsennati se ne sbarazzano con l'animo più infellonito e... avanti! Il Santo, che ha alle peste gli insecutori, s'imbatte in un contadino che seminava le fave. - Buon uomo, gli dice, se gente armata che giungerà tra poco ti domanderà di me, e tu rispondi che passai qui quando tu seminavi le fave. Intanto si nasconde nella sua capanna. Poco dopo arrivano, domandano, vien loro risposto così... e le fave avevan già messo foglie e fiori. Ci volle tal miracolo per convertirli! Per la via che mena a Cocullo, dimandò in carità ad una donna che portava una taschetta di grano al molino, di dargliene qualche giomella per rifocillare la sua mula. L'ebbe, e la taschetta moltipli­cossi in due sacca colme. A Cocullo poi l'attendeva uno spettacolo terribile. Un lupo portava tra le zanne un pargoletto, unico figlio di una madre che disperata gli correva dietro. Il Santo comanda alla lupa, in nome di Dio, ed essa intatto depone in terra il bambino. A tal vista, a ragione il popolo affollato rimase fuori di sé, e lo pregò di un ricordo. Il Santo pone la mano alla bocca, si strappa un dente molare, ed a loro il porge insieme al ferro della sua mula. Ma cosa era questo ferro? In Cocullo, o allora od altra volta, arriva con la sua solita mula, che si chiama Giulia. Prega un fabbro a rinnovarle un ferro sgangherato e rotto. Finito il lavoro si aspetta il giusto pagamento: ma il Santo non ha né oro né argento. Il fabbro rumoreggia, la gente corre. Allora dice alla sua mula: Giulia, rendi il ferro. Ed essa lo rigetta. Veniamo ora ai serpi per cui San Domenico è famoso in Villalago e Cocullo. Nella sua festa lì, ai 22 agosto, e qui a maggio, quei terrazzani scovano quanto più possono serpi, ne inghirlandano la statua del Santo e la menano in processione. Accade che, mentre i serpi cercano di avviticchiarvisi, sguiscian giù, e li raccolgono tranquillamente, li portano in mano, se ne cingono il collo, anzi taluni arrivano a chiuderseli in bocca! Niente di straordinario, perché sono serpenti innocui. Tale costumanza accese il Michetti a dipingere un quadro famoso, San Domenica, ma destò scandalo in un ministro anglicano, che, vistala in Cocullo, ne fece gran rumore, tornato in Inghilterra, scrivendone sui giornali, denigrando il culto cattolico che permetteva la processione dei serpi!

 

 

 

Un pio Vescovo ne scrisse all'autorità ecclesiastica, un quattro anni sono, per saperne il netto, e rintuzzare l'atroce offesa. Gli fu risposto che la processione non era dei serpi ma di San Domenico, alla cui statua da tempo immemorabile si avviticchiano serpi innocui, a ricordo d'un gran miracolo, ampiamente narrato da Fr. Giovanni che vi si trovò presente. Ed è questo: «Mentre, egli dice, avvenivano queste cose (cioè alcuni miracoli in Collepardo), il preposito di Monte Cassino, sentita la gran santità di P. Domenico, gli spedì due monaci con molti pesci. Arrivati presso il monastero di S. Bartolomeo... l'antico nimico dell'uman genere mise loro in cuore di rubare quei pesci; e quattro dei più grossi nascosero tra certe caverne di pietra. Pervenuti al monastero, il Santo andò loro incontro avanti la porta. E benignamente accogliendoli, li introdusse in chiesa dicendo: "Prima cercate il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto vi sarà messo innanzi. Ricordatevi il profetico detto: A chi cerca il Signore non mancherà ogni 

 

 

bene". E baciatili, li condusse di propria mano insieme coi suoi frati alla refezione. Qui li trattenne due giorni, refiziandoli di carità spirituale e corporale. Nel terzo giorno, ad essi che volevano tornarsene, disse che non si avvicinassero affatto alla caverna ove avevano nascosti i pesci, perché si erano tramutati in serpenti. E con loro, rimasti storditi, mandò due frati che portavano il suo bastone. Arrivati al luogo trovarono, giusta come il Santo aveva detto, dei serpi. Tosto li toccarono col suo bastone, e tornarono pesci, in suam rediere naturam. E toltili dalla caverna tosto li portarono al B. Domenico [G. Celidonio, 1905].  Ma, a parte le notizie sulla origine del culto e sulle sequenze della festa religiosa, l'esperienza di Cocullo dimostra ancora come, nel progressivo livellamento delle culture regionali, restino centri di resistenza alla disintegrazione; e bisogna pur chiedersi, al di là di ogni banale ricerca del pittoresco e del folcloristico in senso deteriore, quale significato tali resistenze abbiano. In questo culto, si ha la prova di una persistenza culturale: i serpenti rappresentano l'identità per questi discendenti degli antichi Marsi che hanno resistito a due imperi e a due colonizzazioni, quella romana (e in latino marsus significa «incantatore di serpi») e quella della Chiesa. Così San Domenico, giunto a Cocullo solo come taumaturgo delle febbri e come anti 

tempestario, subisce questa sovrapposizione  delle serpi assumendo un'altra funzione: la festa, difatti, ignora del tutto la liturgia e il prete è assente dalle «compagnie» di devoti, al contrario di quanto avviene per tanti pellegrinaggi in Abruzzo e Molise, proprio nei mesi di aprile e maggio. L'altro studioso, che con Alfonso di Nola ha dedicato al fenomeno libri e saggi notevoli, è Giuseppe Profeta il quale è giunto, a conclusione delle sue ricerche, a ritenere la protezione di San Domenico dai morsi delle serpi posteriore a quella dai lupi e dai cani rabidi rilevando, quindi, la esistenza di una dialettica relazione del «dente per dente» successiva all'originario nucleo patronale contro le febbri e le tempeste che il santo umbro esercitava nel fulignate e a Sora. La festa, per l'incalzare dell'industria turistica e consumistica, subisce tentativi di spoliazione della sua autenticità: alla festa del 1992, venuto da Roma, c'era persino un giovane che esibiva un pitone ed era stato attivato un intenso commercio per farsi fotografare con esso. Ma, se si considera che Cocullo, ridotta a poche centinaia di persone durante gli altri giorni dell'anno, viene letteralmente assalita in questo giorno da carovane di pullman di devoti e da migliaia di turisti che pure sembrano scompaginare il rito religioso, si potrà trovare una risposta a questo problema. I momenti nodali del rito - la raccolta della terra dietro l'altare, il tiro della campanella con i denti, il bacio della reliquia, l'uscita della statua con le serpi intorno - fanno notare un senso di gioia e di riappropriazione della festa da parte della gente del posto e dei fedeli, in momenti che non risultano turbati nella loro intensità devozionale dalle cineprese, dalle macchine fotografiche, da curiosi accorsi per osservare ciò che potrebbe sembrare diverso e barbarico. Molta gente che viene a Cocullo è come spinta dal bisogno di queste ritualità, in cui il terrore della serpe è l'angoscia psicosociale di nuove paure: il disastro ecologico, la mancanza di lavoro, la corruzione politica e la violenza, i rischi quotidiani e l'insicurezza che l'uomo moderno paga con la deculturazione a massificazione. Ecco perché il fondo umano, tipicamente abruzzese, della gioia

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